Centro Studi " Il Risveglio",  cultura,  società,  storia

LA SCUOLA, IL VERO INVESTIMENTO PER IL FUTURO

 

 

 

Di 

Andrea Castagna

 

 

La fondazione OpenPolis e, recentemente, anche l’Istat propongono sondaggi molto interessanti riguardo lo stato della formazione italiana, il bene primario di una società.

Cito entrambe le fonti perché, sebbene fondate su principi di ricerca diversi, le analisi si congiungono dinanzi all’allarmante stato della scuola italiana, sotto molti punti di vista. L’uno approfondisce la questione della quantità (Abbandono scolastico), l’altro quello della qualità (valutazione delle competenze).

Il primo,  Openpolis, offre un’analisi precisa circa lo stato dell’abbandono scolastico in Italia con un focus regione per regione; la media Italiana di abbandono , secondo la fonte , è del 14% con gravi punte nelle isole del 18/20%.  Come viene giustamente sottolineato nel report, è molto complesso stilare una scala di cause primarie che generano tale fenomeno, tuttavia emergono chiari alcuni aspetti , tra i tanti, su cui mi vorrei soffermare.  Uno di questi è il legame che c’è tra abbandono scolastico e contesto sociale ed urbano.

Emerge, purtroppo, un legame tra lo stato di indigenza e l’abbandono; nonostante il nostro sistema scolastico , sulla carta, consenta a tutti di studiare, è evidente che in talune zone, città del sud o periferie delle grandi città,  condizioni di degrado sociale, di lontananza dello Stato (inteso in tutte le sue forme), condizionano pesantemente le scelte educative delle famiglie. Su questo punto mi fermo ad una prima riflessione: la scuola, è evidente, ha sicuramente perso il ruolo centrale che aveva 50 anni or sono nella società, con essa lo hanno perso i docenti come ruolo sociale. Tutto generato dal contributo negativo degli scarsi investimenti dello stato nel tempo. Diciamo, per essere teneri,  che la politica non ha saputo intercettare il cambiamento sociale non difendendo con determinazione  la scuola ed il ruolo che ad essa si confà. Al contrario, è stata assecondata la pigrizia delle famiglie nel determinarsi nel proprio ruolo educativo, pensando alla scuola come luogo di parcheggio educativo e non di formazione. Se così non fosse, non dovremmo quasi quotidianamente apprendere di atti di violenza compiuti nei confronti dei docenti dai genitori. Si innesca , dunque, una relazione interessante: alla crescita dell’alfabetizzazione corrisponde la demolizione del ruolo sociale della scuola. Ma questo accade perché le nostre comunità, oggi, fanno fatica a riconoscere le figure, non autoritarie ma autorevoli, della società. Tra esse senz’altro quella del docente. Il Vecchio Maestro. Figure un tempo, neanche troppo lontano, ritenute intoccabili.

La perdita di autorevolezza di queste figure, produce un effetto negativo anche sull’impatto che esse possono produrre all’interno dei contesti sociali. Ce lo vedreste oggi un docente di scuola primaria, o di qualunque altro grado,  a bussare casa per casa per recuperare gli allievi? Come minimo prenderebbe un paio di denunce e qualche schiaffone.

Ma è sufficiente pensare all’obbligo scolastico come unico modello di inclusione?

A leggere ancora il report di Openpolis verrebbe da dire di no. Perché oltre l’abbandono l’altro dato allarmante è la dispersione scolastica. Quindi finita l’obbligatorietà si innesca un nuovo effetto abbandono. Ma se in alcuni comuni del nord questa scelta è legata ad opportunità lavorative immediate, rimane ancora il nodo delle periferie e di molte zone del sud .

 

Finora, però, lo Stato come ha risposto?

L’Europa ha fissato come obbiettivo che entro il 2020 la soglia di non scolarizzazione dei giovani tra i 18-24 anni sia sotto il 10%.  L’Italia negli anni sembrerebbe essersi applicata molto in questo senso, considerato che la percentuale dal 19% è scesa al 14%. Tuttavia il report dell’Istat fotografa una realtà molto più allarmante: 4 studenti su 10 di scuola media inferiore non hanno sufficienti capacità alfabetiche, 1 su 3 in matematica. A seguire nella formazione, se nei licei il livello si alfabetizzazione si alza considerevolmente, negli istituti tecnici la situazione non migliora affatto. Addirittura il 39,6% dei discenti è carente nella lettura. A fronte di tutto questo, però, i docenti non sono nella condizione di poter fermare il percorso scolastico, a scuola non si boccia più. Praticamente lo Stato non considera la scuola come luogo di formazione del futuro occupato. Non pensa alla qualità del suo apporto al mondo del lavoro. Infatti, un’analisi del Sole24ore mette in allarme sul deficit formativo della scuola italiana. Secondo il giornale di Confindustria nei prossimi anni saranno 500.000 i posti di lavoro specializzati disponibili ma che sarà quasi impossibile coprire con le competenze degli studenti italiani.

Nel nostro Abruzzo, invece, i dati sull’abbandono sono decisamente più confortanti. Ci attestiamo intorno al 7-8%.

In provincia, però, subentra un problema di diversa natura sociale. Le persone sono costrette ad andar via, soprattutto quelle con alto livello professionale, perché la scarsità degli investimenti  nella nostra regione produce poche possibilità occupazionali.  Questo stato demotivante si riflette, con ogni probabilità, sul dato di dispersione scolastica che sale vertiginosamente sino al 23.3%. In poche parole  si sperimentano strade diverse dalla formazione poiché non vi è fiducia nelle opportunità lavorative della propria terra. Terra che in molti, giustamente, non vorrebbero mai abbandonare.

A fronte di questa fotografia allarmante sarebbe forse il caso che la politica , i politici, inizino seriamente a ripensare il ruolo della scuola moderna. Di rimodulare l’offerta formativa in base anche ai cambiamenti della società ed alle esigenze del mercato del lavoro. Di ripensare la scuola come sede formativa del pensiero e delle idee delle persone, di metterle nella condizione di poter esercitare i propri diritti con consapevolezza. Una scuola che insegni anche il valori dei doveri verso il proprio stato, i concittadini e le generazioni future. Anche, perché no, una scuola che possa insegnare il convivere civile sui social, il cui uso, volente o nolente, sarà sempre più diffuso.

Insomma dobbiamo lottare per avere una scuola in cui si torni a costruire il futuro della propria nazione; un luogo di conoscenza che insegni come convivere sotto il tetto con i fratelli europei; una scuola che insegni ad aprire il raggio della visione dei giovani, moderna e proiettata al futuro.

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