Centro Studi " Il Risveglio",  politica,  società,  storia

ELEZIONI EUROPEE: REDDE RATIONEM PER IL VECCHIO CONTINENTE


Tra populismi usurati e nazionalismi disuniti la scelta del bene comunesarà sulla sicurezza economica e non sull’insicurezza sociale

di

Luca Di Bonaventura

Redde rationem villicationis tuae: iam enim non poteris villicare” si legge nella versione latina del Vangelo di Luca e che letteralmente tradotta diviene “Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore” (Lc 16,2). Chissà come avrebbe reagito l’evangelista se qualcuno gli avesse riferito che nel 2019, dopo più di duemila anni, quelle parole di Gesù nella parabola del cattivo amministratoreavrebbero descritto in modo tanto efficace quanto plausibile l’esito delle prossime elezioni Europee del 26 maggio. Se da una parte è vero che i risultati al momento possono essere solo presunti, dall’altra politologi e analisti concordano nel descrivere questa tornata come un passaggio decisivo per gli assetti geopolitici del Vecchio Continente.

vecchie e nuove fragilità europee
Le elezioni sono sempre importanti. Stavolta però rischiano di essere anche determinanti. Il risultato dello scontro, in primis tra europeisti e antieuropeisti, avrà ricadute sugli attuali equilibri nazionali e continentali. Mai come questa volta si vedrà la reale forza – e resistenza – dell’Europa sognata da Altiero Spinelli. Sarà un redde rationem, appunto, per tutta l’Unione europea; una reale, seppur non definitiva, resa dei contidei cittadini europei nei confronti dei propri amministratori. Vecchi e nuovi. Sì, vecchi e nuovi amministratoridel potere politico; quindi, del nostro futuro.
Negli ultimi cinque anni l’Europa e l’intero Occidente, compreso il nostro Paese, sono stati travolti da cambiamenti politici che hanno mutato – a volte minato – gli assetti istituzionali, economici e culturali delle Nazioni. Basti pensare che nel 2014 – cioè nella precedente tornata elettorale per le Europee – apparivano ancora storicamente distanti eventi epocali come il trionfo di Trump o la vittoria della Brexit, così come sembrava lontana da venire l’egemonia di nuovi populismi e di rinnovati nazionalismi.
E’ lecito così chiedersi: cosa ha fatto l’Amministratoreeuropeo per arginare questi fenomeni dirompenti per le nostre deboli Democrazie? Probabilmente non abbastanza, spesso a causa della fragile tenuta interna di alcuni Paesi fiaccati dalla crisi economica e, comprensibilmente, illusi da soluzioni più affascinanti che attuabili. Il futuro dell’Europa passa ancora una volta dalle scelte che i cittadini faranno nelle urne. E dunque, alla vigilia di queste elezioni Europee si può senza timore asserire che l’ignavia si conferma un peccato capitale, anche in politica.
La storia, come sempre, può indicare la via maestra per evitare rischiosi estremismi, ma alla fine saranno i cittadini a decidere. La politica, da par suo, ha il dovere – mai come oggi – di riaffermare una supremazia nelle scelte democratiche. La base, come detto, resta saldamente nella rappresentanza democratica, nelle forme e nei limiti della sovranità popolare; tuttavia questo non può esimere le Istituzioni nazionali e sovranazionali dal controllare, e dove possibile arginare, un processo di delegittimazione che è terreno fertile per derive autoritarie. In altri termini, occorre rinnovare il primato della politica.

timori economici
E attenzione. Non appaiano queste tematiche lontane dal nostro vivere quotidiano. Recentemente l’European Council on Foreign Relations (aprile, 2019) ha reso noto un Rapporto in cui si constata che la battaglia elettorale delle Europee avrà al centro quattro questioni nel seguente – e non poco sorprendente – ordine di preoccupazione per gli elettori: il radicalismo islamico, le condizioni economiche, l’immigrazione e infine i timori per la crescita del nazionalismo in Europa. Almeno due dei quattro punti screditano il mito della paura propagandata dagli antieuropeisti, anche nostrani. Volgarmente, si può dire che non sarà la diffusa paura dell’immigrazione a decidere l’assetto del prossimo Parlamento europeo. Se a ciò si aggiunge che lo stesso Rapporto calcola in 100 milioni i cittadini europei ancora indecisi, ecco che si apre una notevole crepa su un risultato non così scontato alle elezioni di maggio.
E allora che cosa sarà a determinare il nostro redde rationem? A mio modesto avviso sarà l’individuazione, e di conseguenza la ricerca del bene comune. La resa dei conti, innanzitutto, sarà del cittadino europeo con se stesso: una valutazione sulle scelte personali del 2014 e quindi la conferma o meno di tali scelte. Poi, tuttavia, la reale resa dei contisarà tra due forze centripete e intrinseche: il bene privato da un lato e il bene comune dall’altro. Un dilemma questo che in realtà affonda le radici in tempi a dir poco non sospetti. “Qualcuno deve convincere il popolo a distinguere il bene comune e quello individuale” afferma Socrate nei Dialoghi di Platone. “Ma chi interpreta il bene comune?” domanda il suo interlocutore Alcibiade. “Il popolo” risponde Socrate, con sicumera. Per poi aggiungere “Il bene proprio lo si raggiunge attraverso una visione chiara e utile del bene comune”. È dunque Platone, per bocca di Socrate, a indicare il possibile punto di svolta per le elezioni europee: individuare l’utilità del bene comune per raggiungere il bene proprio e individuale. E se tale argomentazione è vera – come è vera – appare allora arduo identificare nella paura del ‘diverso da noi’ la chiave di volta che soddisfi il bene privato; all’inverso, è più logico e coerente pensare alle condizioni economico-finanziarie come strada per arrivare al bene comune. Gli elettori sceglieranno chi votare o non votare basandosi sulla sicurezza economica, non su presupposte insicurezze antropologiche o sociali.

populismi usurati e sovranisti disuniti
Taluni, è comprensibile, potrebbero a questo punto obbiettare che, ad esempio, il piano di investimenti dell’uscente Commissione Juncker – partorito all’indomani della traumatica crisi economica e basato su rigorose misure di austerity – non ha alla fine prodotto i risultati in principio auspicati. Anzi, ha contribuito a una sempre più diffusa disaffezione verso la ‘cosa pubblica’, in generale verso la classe politica, favorendo una ‘anti-politica’ (una ‘impolitica’ come la definisce il giurista Gustavo Zagrebelsky) caratterizzata da soluzioni approssimative e semplicistiche, e per questo paradossalmente più credibile. Ciononostante, a mio avviso, né il dilagante populismo né la retorica nazionalista possono essere una valida e adeguata via d’uscita. Come sottolineato più volte dal professor Marco Tarchi, senza dubbio tra i massimi esperti di populismi, “il populismo non è, come spesso si sostiene, un fattore di logoramento dei sistemi politici democratici, ma un prodotto delle loro insufficienze”. Questo perché, dice sempre Tarchi, “il populismo non è alternativo alla democrazia” in quanto per sua stessa natura “è anti-establishment, non anti-sistema”. Nel momento in cui diventa establishment, come in questa fase in Italia, ecco che perde la sua forza identitaria. In termini politici, perde consenso. Per quanto riguarda invece il nazionalismo – ma sarebbe più corretto parlare di nazionalismi – occorre fare un ragionamento differente: al contrario del populismo, infatti, il nazionalismo è un’ideologia antica, nata con la Rivoluzione Francese, fiaccata quindi dal tempo e dai mutamenti storici, ma anche da una naturale perdita di potere attraverso l’alfabetizzazione, il progresso economico e la globalizzazione. Dunque, se in parte i nazionalismi reggono a livello nazionale, a Strasburgo perdono la loro forza attrattiva e popolare.
Accantonate – ritengo temporaneamente – le secolarizzate ideologie Destra e Sinistra, oggi è il sovranismo a prendere il sopravvento, palesandosi nelle politiche – e nella comunicazione – di Trump, Putin, Orbán e dei suoi alleati del gruppo di i Visegrád. In questa scia si colloca l’Italia a trazione ‘salviniana’. Si tratta, tuttavia, di un’ideologia che non sembra pronta a rappresentare per l’Europa una soluzione solida e matura; e soprattutto non in grado di avere istanze unitarie a livello europeo. Il predominio resta l’interesse particolare (ovvero nazionale) e non quello comune (ovvero europeo). Altresì, fortunatamente, continua ad apparire vivo il timore che certi rigurgiti illiberali possano rinnovare quegli autoritarismi che meno di un secolo fa mostrarono tutta la loro violenza distruttrice.

il popolo sovrano tra paure e speranze
È pur vero che la legittimità della democrazia rappresentativa non può mai essere messa in discussione. Non si può in nessun caso sovvertire un democratico risultato elettorale, per quanto sgradito possa essere. L’esito di libere elezioni non può essere, in valore assoluto, un bonus-malus. Le elezioni sono il momento più alto di una democrazia, che in quanto tale ha regole precise.
Per il filosofo Norberto Bobbio la Democrazia è “un metodo per prendere decisioni collettive”, in cui “tutti partecipano alla decisione direttamente o indirettamente” e “la decisione viene presa dopo una libera discussione a maggioranza”. Temo sia stata l’assenza di quest’ultimo aspetto, per nulla marginale, a causare quel diffuso sentimento di sfiducia e di antipolitica terreno fertile per quelle derive qui in sintesi descritte.

in conclusione
Con quale stato d’animo i cittadini europei si apprestano a esercitare il proprio diritto al voto; quanto saranno stati efficaci i governanti dell’ultimo quinquennio; quanto saranno convincenti le nuove proposte; in che misura peseranno le paure e le speranze; potrà esistere un’alleanza fra populisti e sovranisti-nazionalisti? Saranno le risposte a questi quesiti a determinare il risultato del 26 maggio. Nei giorni scorsi il politologo Roberto D’Alimonte, autorevole esperto di sistemi elettorale, dalle pagine del Sole24Oreha in parte risposto e, di fatto, ha previsto che la nuova maggioranza al Parlamento europeo sarà “più eterogenea di quella del 2014”, ma comunque“auto-sufficiente e saldamente europeista”.
Aggrapparsi alle deboli sicurezze del presente, tornare irragionevolmente al passato o tuffarsi senza paracadute in un futuro quanto mai incerto: in ogni caso per l’Unione Europa sarà il primo, vero e decisivo redde rationem. Gli esiti, su questo non v’è dubbio, peseranno sulle spalle dei nostri figli.

Lascia un commento